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Punto sull'inquinamento da plastiche e microplastiche

Punto sull’inquinamento da plastiche e microplastiche. L’inquinamento da plastica è diventato uno dei problemi ambientali più urgenti e pressanti che affliggono il nostro Pianeta. Negli ultimi decenni, l’uso massiccio di plastica e la sua gestione inadeguata hanno portato a un accumulo senza precedenti di rifiuti plastici in tutto il mondo. Ogni anno, milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono nei nostri oceani, terreni e aree urbane, causando un impatto devastante sugli ecosistemi e sulla salute umana. Conoscere i numeri dell’inquinamento da plastica è il primo passo per comprendere l’entità del problema. Da qui, possiamo cercare insieme soluzioni innovative e pratiche per ridurre il nostro impatto e contribuire a un futuro più pulito e verde.

I numeri dell'inquinamento

Ogni anno negli oceani, nei fiumi e nei laghi si riversano 23 milioni di tonnellate di plastica pari al peso di 100mila statue della Libertà, senza un intervento radicale le stime prevedono che questa quantità triplicherà entro il 2060. Il ritardo nel rendere operative soluzioni efficienti in ottica di economia circolare ha fatto si che oggi, nell’acqua e nell’ambiente, siano presenti 8 miliardi di rifiuti primari in plastica . Esatto, una tonnellata per ogni essere umano sulla terra. Non tutta la plastica finisce in mare o nell’ambiente, degli oltre 400 milioni di tonnellate di plastica prodotte all’anno a livello mondiale il 12% viene incenerito: una soluzione sostenibile? La risposta è negativa.Per ogni tonnellata di plastica bruciata vengono immesse in atmosfera più di due tonnellate di CO2 insieme a diossine e furani, elementi che portano a un inquinamento cronico perché particolarmente stabili e persistenti nell’ambiente,tossici per l’uomo, gli animali e l’ambiente stesso.

Studi sull'acqua in bottiglia.

Arriva dagli Stati Uniti (Gennaio 2024)l’ultimo allarme sul rischio di ingerire microplastiche, ma soprattutto nanoplastiche, attraverso il consumo di acqua commerciale in bottiglie di plastica: qui un team di ricercatori ha analizzato i prodotti di tre celebri marche, alla ricerca di frammenti di grandezza anche inferiore a 100 nanometri. E trovandone molti più di quanto accaduto nelle stime precedenti: in un litro di acqua in bottiglia, in media, sono stati individuati 240 mila frammenti di plastica. Fino a cento volte di più rispetto al passato,molto più di quanto non si riscontri nell’acqua di rubinetto. Le analisi di laboratorio, che hanno utilizzato strumenti di ultimissima generazione con il puntamento di due laser in grado di osservare e “leggere” la risposta delle diverse molecole, hanno individuato da un minimo di 110 mila a un massimo di 370mila particelle di plastica. Si tratta in larga parte (circa il 90%) di nanoplastiche, riconducibili a sette tipologie differenti. Tra queste, come ci poteva attendere, figurano quantità significative di PET, il polietilene tereftalato, utilizzato su larga scala per imbottigliare il 70% delle bottiglie per bevande e liquidi alimentari di tutto il mondo.Ma più presente del Pet è risultato, stavolta un po’ a sorpresa, il poliammide, una classe particolare di nylon speciali: secondo Beizhan Yan, coautore dello studio e chimico ambientale al Lamont- Doherty Earth Observatory della Columbia University, potrebbe derivare dai filtri di plastica utilizzati per purificare l’acqua prima dell’imbottigliamento. Un vero paradosso, insomma. E ancora: polistirene, polivinilcloruro e polimetilmetacrilato, materiali utilizzati nei processi industriali. E l’incognita di un’alta percentuale (circa il 90%) di nanoparticelle che i ricercatori non sono stati in grado di identificare. Da qui sottolineano con preoccupazione i ricercatori coinvolti nell’ultimo studio, in linea teorica le nanoplastiche sono abbastanza piccole da poter entrare nel sangue, nel fegato e nel cervello di un essere umano. Di più: invadere le singole cellule e attraversare la placenta arrivando fino agli embrioni, come peraltro dimostrato da uno studio pubblicato sulla rivista Environment International e condotto dai ricercatori dell’Università delle Hawaii a Manoa e del Kapi’olani Medical Center for Women & Children su placente donate da donne che hanno partorito alle Hawaii tra il 2006 e il 2021
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